ACUSMETRIA
di Marco Maiocchi
dal Foglio dell'Institutum Pataphysicum Partenopeium n° 2 (estate 2003)



Il Maestro Francesco Rampichini era l'antiprototipo del musicista: troppo giovane per essere così bravo e ricercato per le sue composizioni, disdegnava gli ambienti dei Conservatori, a sua detta troppo polverosi e vacui, e frequentava fisici, chimici, architetti, letterati, curioso di ogni dettaglio del saper, che ben riorganizzava nelle sue composizioni.
Il suo nome era molto conosciuto e stimato: le sue frequentazioni dei grandi compositori del ventesimo secolo, da Maderna a Stockhausen, avevano lasciato il segno nelle sue composizioni, non in uno stile imitato, ma nella forza creatrice che emanava anche dalle sue più lievi ninne nanne.
Fu grazie alla sua fama e a questo mix di capacità che il ricco mecenate americano Paul G. gli commissionò una breve sinfonia. "Vorrei che fosse per un teatro piccolo," - gli telefono con uno smaccato accento americano - "per una festa per i miei novant'anni, che voglio celebrare in Italia: ci saranno solo intimi, un centinaio di persone al massimo. Ma voglio una Sua opera. Grande e unica!".
Non è che non si potesse dire di no a Paul G., ma è che la sfida era troppo allettante: quel ricco americano era forse l'unica persona in grado di pagare la sua opera. Accettò. Ma non per i suoi novant'anni, ma per i suoi novantadue.
Sorprendente la richiesta di due anni per una composizione breve, ma colloqui che intercorsero tra Francesco e gli amministratori della Fondazione G. portarono ad altre stupefacenti richieste; la maggiore fu il costo dell'operazione: diciotto milioni di euro.
"Non le sembra un compenso eccessivo?"
"Non si tratta del compenso, - sottolineò Francesco - io lavoro gratis! Sono le spese!"
"Ma di che spese sta parlando?!"
E qui il Maestro Francesco Rampichini si alzò in piedi, e con la massima serenità e pacatezza, con un velato sorriso sulle labbra, cominciò a spiegare.
"Noi pensiamo che la musica sia un insieme di suoni, ma non è così: la musica è un connubio inestricabile tra il compositore, l'esecutore e l'ascoltatore. Non si può comporre senza pensare all'acoltatore finale. Pensate che la musica per una platea di non vedenti possa essere la stessa che per un pubblico di vedenti? Non avete mai ascoltato i miei brani 'per orecchio solo' da ascoltare con un auricolare mentre si guida? No: la musica dev'essere composta avendo in mente in modo molto preciso il pubblico: chi sarà e dove sarà. Sul chi sarà è facile: ho la lista degli altolocati fortunati. Dove sarà lo deve decidere la mia musica. E io so che il secondo violino, quando passerà a note vertiginosamente alte, darà un'impressione di incredibile ascesa verticale nello spazio a chi siederà al centro della platea, ma non a chi è in prima fila o in ultima; per questo lo dovrò far suonare in piedi, facendolo camminare diagonalmente, per correggere quell'impressione e restituire il senso spaziale della mia composizione a tutti gli ascoltatori! Inoltre, l'orchestra sarà doppia e speculare: le viole omologhe a destra e a sinistra suoneranno all'unisono, ma con intensità diversa, in modo da far percepire lo spostamento fisico del baricentro sonoro, alla velocità che io deciderò. E ancora, i lavori sulle intensità dei suoniproietteranno forme davanti e dietro al pubblico, indipendentemente dalla posizione dell'orchestra! Questa è l'acusmetria, signori! Ma per fare questo non posso usare un teatro tradizionale: devo farne costruire uno ad hoc. Allora, ecco i conti: io lavoro gratis; una rappresentazione che imponga un organico di nove strumenti, raddoppiati, potrà costare indicativamente una decina di migliaia di euro; altri diecimila euro per servizi di sicurezza, luci, impianti; un catering di adeguato livello per un piccolo rinfresco potrà aggiungere altri quindicimila euro; siamo a trentacinquemila; aggiungete un milione di euro per il progetto del teatro, un milione per le licenze e i permessi, dieci milioni per la costruzione, un milione duecentomila per la direzione lavori, tre milioni e mezzo per la successiva demolizione, pure con trecentosessantacinque mila di direzione lavori, poi novecentomila di discarica, e il totale è presto fatto: diciotto milioni di euro. Ed è per questa costruzione che ho chiesto due anni di tempo!"
"Ma come, - ribatterono gli amministratori - un teatro così importante, subito distrutto?"
"Già, subito. A che servirebbe se non per suonare proprio quella composizione per cui è stato costruito?"
La strana proposta fu accettata. La musica fu composta, il teatro costruito, e la sera della rappresentazione Francesco continuava a saltellare da una parte all'altra del teatro per verificare la corretta percezione acusmetrica. Paul G., al centro in prima fila, si gongolava del risultato, mentre il pubblico inseguiva estaziato le piroette che i suoni descrivevano nell'angusto spazio: le note descrivevano articolate traiettorie saltellanti, multicolori girotondi, voli rapidi e discese inarrestabili portando nello spazio insieme a loro in questo vorticoso e fantasmagorico balletto tutti gli animi degli ascoltatori.
Alla fine della rappresentazione i fragorosi applausi furono seguiti da un'uscita silenziosa e quasi mesta del pubblico, che si rendeva conto dell'esperienza vissuta e che forse mai più avrebbe potuto ascoltare musica. Si testimonia che qualche signora in abito di gala sia stata vista infrangere vetrine di negozi di impianti hi-fi nel vicino centro cittadino, con un semi-grido iconoclasta strozzato in gola: "Basta, maledetti fotocopiatori di pattume sonoro!"
Il teatro fu demolito nei due mesi successivi, e la vita riprese i suoi ritmi come prima.
Quasi per tutti. Ma un centinaio di persone smisero di frequentare concerti e di acquistare dischi.
Paul G. morì pochi mesi dopo, quasi avesse ormai raggiunto un suo grande scopo.